Come è difficile mettere il buonsenso al potere- l’Unità 25.08.03
Caro Cancrini,
la Sezione del Tribunale del Malato di Grosseto apprezza molto la pagina a Lei affidata da L’Unità. Molti
articoli, in particolar modo quelli sulla “180”, tappezzano le pareti della nostra sede, presso l’Ospedale della Misericordia. Il Tribunale del Malato di Grosseto segue da sempre con grande interesse, e ora con giustificata preoccupazione, i periodici tentativi, se non addirittura la volontà politica di stravolgere la “180”, spesso non applicata, non sempre adeguatamente sostenuta, poco e male finanziata, ma che pure ha consentito a migliaia di “anime morte” di rientrare nel mondo civile, di recuperare diritti e dignità.
Ci viene in mente, leggendo l’intervento sugli O.P.G., un ragazzo, uno studente che, un giorno di molti anni fa, si arrampicò sul tetto di un tristemente famoso Ospedale del Sud piantandovi una rivoluzionaria, liberatrice bandiera. Un eroe del nostro tempo.
Questa nostra, quale segno della partecipazione al dibattito in corso e della gratitudine per il Suo lavoro.
Cordialmente.
Wanda B. Campa
Vorrei cogliere l’occasione fornita da questa lettera per rendere omaggio, con affetto e con simpatia, a tutti quelli che si battono, da noi e nel mondo, per migliorare le condizioni di vita dei pazienti psichiatrici. Per difendere i loro diritti e la loro dignità di esseri umani.
Abituato da sempre (la scuola prima, il lavoro di insegnamento poi) a fare i miei bilanci d’estate, mi viene da dire che veniamo da un anno assai difficile. Insanguinato dalla follia di chi ha costruito sulle menzogne
una guerra sanguinosa, avvelenato dalla follia un po’ meno sanguinaria ma non meno distruttiva di chi, da noi, tenta di costruire una specie di ordine o di disordine nuovo basato sulla legge del più forte o del più ricco. Gettando le premesse di nuove violenze e di nuove ingiustizie perché, come dice il Nino della Morante ne La Storia, quando dei ragazzi imparano a giocare con le armi, diventa difficile poi farli smettere e perché quando si mettono in crisi le istituzioni su cui si regge uno stato democratico, quella su cui si aprono le porte è una competizione senza altre regole che quelle dettate dall’odio e dal bisogno di prevaricare. Pensare che in tempi così, vi siano persone capaci di dedicare il loro tempo, la loro passione, il loro desiderio di solidarietà e di democrazia agli ultimi degli ultimi, a quelli che stanno male con gli altri e con se stessi, fa bene al cuore.
Apre o riapre un discorso di speranza. Il genere umano, suggerisce Elsa Morante, scrive due tipi di storia. Quella con la S maiuscola, la Storia, è fatta di avvenimenti grandi che hanno come scenario il mondo. Quella con la s minuscola si sviluppa in mille rivoli, riguarda la povera gente e ognuno di noi. La follia e la distruttività (cui solo Marx è stato capace, alla fine, di dare un significato minimamente realistico) caratterizzano da sempre la prima, invasioni e guerre, eccidi e bombardamenti. Il bisogno di pace e di armonia, la fuga dalla sofferenza e la ricerca di un altro cui voler bene e con cui star bene (sia esso figlia o figlio, amico o amante, compagno di baldoria o d’avventura) caratterizzano da sempre la seconda.
Quella che vince nello scontro inesorabilmente, tuttavia, è la prima perché quello che è stato quasi impossibile finora per il genere umano, tranne che per brevi periodi e in luoghi limitati, è portare al potere il buon senso, farsi guidare da persone davvero capaci di mettersi al servizio di tutti, basando le loro attività sull’idea di rappresentarli. Perché quella cui chi aveva il potere era interessato è stata quasi sempre l’ossessione di accrescerlo o di mantenerlo (come sta accadendo di nuovo ora) o il bisogno di subordinare tutto ad una grande idea: di cui i rappresentati avevano una coscienza incerta e debole; di cui
spesso sentivano che si poteva, da un momento all’altro, ribaltare su di loro.
Attento alle fragilità e alla precarietà dei destini individuali, la pratica del lavoro psichiatrico è fatta, inevitabilmente, di curiosità e di amore per la storia con la s minuscola. Di essa insegue le tracce dietro i comportamenti pazzi di chi sta male. Ad essa cerca di proporre, incontrandola, sviluppi nuovi. Costruendo
rapporti che rendono possibile quello che non era possibile se il fallimento dei rapporti era il fallimento di una persona bloccata dall’impossibilità di progettarne dei nuovi. Che timidamente, ermeticamente all’altro disponibile si propone per credere di nuovo in se stesso, nella possibilità di dare senso a quello che gli sta succedendo. Di affermarlo di fronte agli altri. Di esistere di nuovo come persona.
Un ragazzo di sedici anni mi ha raccontato una volta un sogno da cui era ossessionato. Temendo il quale evitava, nei limiti del possibile di dormire. Che stava entrando con violenza nella sua vita. Un sogno composto da tre scene sovrapposte o giustapposte, come se uscissero una dall’altra. Un corridoio stretto ed una porta buia dietro cui qualcuno si muove e fa paura quando lui bambino torna a casa e si entra
nell’ingresso. Un tavolo alto su cui lui bambino piccolissimo grida al centro di una stanza da pranzo. Una culla che vola in mezzo ad una nube di sassi giù da un grattacielo. Il bambino, dice, ha paura ed è solo, sempre, perché in tutte le scene i genitori sono altrove, da qualche parte più in basso. Quello che lui improvvisamente sa dopo averlo raccontato, tuttavia, è qualcosa cui la sua mente da sola non aveva pensato mai. Che il sogno riproduce, cioè, un avvenimento reale, gli attentatori che avevano buttato giù la sua casa, i genitori che l’avevano lasciato solo per andare a fare delle spese e che sono morti, lui che si è salvato volando con la sua culla verso un’adozione internazionale voluta da due genitori che non
riuscivano ad accettare l’idea che lui non fosse figlio soltanto loro. Per cui era doloroso il ricordo che ingombrava l’anima di un ragazzo che doveva tuttavia parlarne e capire, parlando, chi era, da dove veniva e il modo terribile in cui la Storia era entrata nella sua storia: riempiendola di orrore e di paura, condizionandone sviluppi ed esiti. Mi sono chiesto spesso, da quando son nato e fino ad oggi, se la consuetudine con storie di questo tipo potrebbe rendere un po’ meno folli le decisioni degli uomini che fanno la Storia con la S maiuscola. Sarebbe sicuramente assai educativo per gente come Bush o Blair, Berlusconi o Bossi o Previti, passare sei mesi in un servizio di salute mentale. Occupandosi degli altri e delle loro storie invece che di se stessi. Ritornando con un po’ di umiltà in più o con un po’di presunzione in meno alle loro storie personali. Di cui la disarmonia delle loro decisioni fa decisamente pensare che non debbano essere state poi così serene come i loro biografi ufficiali tentano a volte di suggerire.
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