Psicopatologia dell’uomo politico La personalità narcisistica- l’Unità 29.04.02
Caro Luigi,
ho seguito con molta attenzione i tuoi interventi su «I diritti negati», rallegrandomi del fatto che il tema avesse finalmente acquisito la dignità di un appuntamento fisso, e trovando nei tuoi interventi indicazioni e analisi stimolanti e utili. Di questo ringrazio l’Unità, che ha offerto ai lettori la possibilità di confrontarsi stabilmente con un punto di vista – il tuo – particolare e profondo.
Vorrei proporre qui una riflessione sul cambiamento che credo di aver rilevato nelle osservazioni che i lettori hanno proposto nel tempo. Tali osservazioni (e le tue risposte) hanno via via attraversato il tema dei diritti negati in senso stretto, le questioni dell’organizzazione tecnico-politica delle risposte istituzionali e quindi – sempre più frequentemente- l’analisi psicologica e psicopatologica dei fenomeni (e dei protagonisti) della politica.
Penso che questo percorso non sia casuale: grande è infatti il bisogno di capire più profondamente
l’inquietante periodo che stiamo vivendo, e a volte abbiamo il timore di non avere sufficienti capacità e strumenti (innanzitutto: le parole) per raccontarci quello che accade e reagire ai colpi che la protervia e la rozzezza di molti dei nostri gelidi governanti ci somministrano giorno dopo giorno. Come se, insomma, sentissimo minacciato il diritto di dar voce a dubbi e idee su ciò che sta accadendo in Italia, di cui abbiamo una forte percezione ma poche conferme nella nostra stessa parte politica. Da questo punto di vista le tue analisi aiutano a capire e a sentirsi meno indifesi.
L’interesse diffuso del pubblico verso l’analisi psicologica dei fenomeni politici mi fa anche pensare che forse è oggi necessario aggiornare l’analisi e l’iniziativa politica anche partendo da ciò che sappiamo del funzionamento mentale dell’uomo occidentale dei nostri giorni. Verificando, ad esempio, quali siano le teorie della personalità implicita nelle posizioni politiche che pratichiamo o subiamo. Rendendo un servizio alla politica e a chi la vive (soprattutto nella veste di militante) ma anche rendendo socialmente utili conoscenze che si sono prodotte nell’ambito psicologico e psichiatrico o, come tu stai facendo, e sviluppandole. Riprendendo una produzione culturale e scientifica negli ultimi anni poco presente nella vita politica, spesso ridotta anche dalle nostre parti a gestione del potere fine a se stessa. Rilanciando, insomma, un discorso sull’uomo troppe volte lasciato alle parodie degli integralisti o alla solitudine del Papa.
Giuseppe Vinci, psicologo
Il problema che tu proponi è un problema complesso e affascinante. Un modo di affrontarlo è quello di ragionare sul problema del rapporto fra disturbo psichico e livelli di integrazione della persona nel contesto interpersonale e sociale di cui fa parte.
La cultura psichiatrica tradizionale, infatti, si è occupata da sempre delle persone che non funzionano, di quelle che vengono limitate o francamente emarginate a causa del loro disturbo. Mentre molto modesto è l’interesse dei ricercatori e dei terapeuti per le persone che funzionano bene o «troppo» bene, per le persone il cui disturbo psichico non impedisce (o a volte, anzi, facilita) l’integrazione ed il riconoscimento sociale.
Un concetto chiave per la apertura di questi nuovi orizzonti della riflessione (e, teoricamente, della pratica) psichiatrica è quello del disturbo narcisistico di personalità. Di narcisismo, in realtà, Freud aveva parlato già negli anni Venti ma l’importanza e la gravità della patologia narcisistica e della sua influenza è risultata evidente in psichiatria solo alla fine di questo secolo. Nel momento, cioè, in cui il termine, nato all’interno della psicoanalisi, è diventato parte integrante del linguaggio diagnostico di tutti. Proponendo l’esistenza e la gravità di patologie legate allo sviluppo di un Sé grandioso: un’immagine di sé stessi che si pone naturalmente al di sopra degli altri e al di fuori delle regole su cui si basano i normali rapporti interpersonali e sociali.
Associate ad un livello di intelligenza basso, patologie di questo tipo si manifestano abitualmente in forma di comportamenti criminali, di insofferenza perdente di fronte alle leggi ed al sentire comune. Associate, come spesso accade, ad un livello diintelligenza più alto, esse caratterizzano un particolare tipo di uomini (o donne) di successo: quelli che si identificano con il loro personaggio molto più che per la sua causa cui dicono (e a volte pensano) di far riferimento. Quelli che cambiano idea su tutto tranne che sulla incrollabile e, per certi versi, innocente convinzione sulla superiorità del loro punto di vista. Caratterizzandosi prima di tutto per questo, dunque, per la contraddittorietà da loro non sempre percepita delle scelte e delle posizioni, per la facilità con cui dimenticano quello che è successo ieri o l’altro ieri, per la mancanza del dubbio sulla complessità del reale. E caratterizzandosi, in secondo luogo,
per il disprezzo delle idee che non collimano con le loro, per l’atteggiamento di sufficienza o di aperta avversione nutrita per chi si oppone alla realizzazione delle loro proposte. Con un occhio sempre assai attento, però, al gradimento del pubblico alla ricerca, in cui sono maestri, di un consenso vitale per il nutrimento del Sé grandioso ed avido che portano dentro.
Sembra a me abbastanza naturale, in queste condizioni, che l’attività in cui più facilmente questo tipo di personaggi può trovare il successo di cui ha bisogno per vivere sia nelle attività proprie della politica.
A differenza di quello che accade in altre situazioni, infatti, quello della politica è il luogo in cui le valutazioni di merito sono difficili, soprattutto in tempi brevi, e naturalmente controverse in quanto sottoposte alla violenza delle deformazioni professionali (gli apparati di partito e la stampa) ed emotive (l’opinione pubblica diffusa). Quello che viene richiesto ad un leader, in queste condizioni, è la sicurezza di avere ragione più che la pacatezza e la ragionevolezza delle argomentazioni.
Un calciatore può essere l’idolo di intere generazioni di tifosi, voglio dire, ma se si allena di meno e gioca male viene fischiato ed odiato molto in fretta perché il giudizio su come sta giocando è facile e diretto.
Un uomo politico di successo è più protetto di fronte a chi lo ammira perché il giudizio su ciò che fa è molto più difficile e sempre indiretto basato sul modo, cioè, in cui lo giudicano altri più «esperti», giornalisti e commentatori, schierati, abitualmente, con lui o contro di lui.
Un’osservazione importante va fatta, a questo punto, su quello che sappiamo oggi in tema di evoluzione del disturbo narcisistico di personalità. Basato sulla costruzione di una relazione significativa e sul riconoscimento dei limiti propri di ogni essere umano, il lavoro terapeutico si basa soprattutto sul confronto con i dati offerti dalla realtà. Passa attraverso inevitabili momenti di depressione integrativa e può portare allo sgonfiarsi progressivo del Sé grandioso. Sostituendo il bisogno di essere ammirato con quello di essere accettato. Permettendo al bambino spaventato che si nasconde dietro alla facciata narcisistica di entrare in contatto con un altro significativo stabilendo rapporti affettivi basati sulla reciprocità.
Possibile all’interno di un contesto terapeutico (psicoterapia, comunità o relazione d’amore autentica) questo tipo di evoluzione è estremamente rara per i personaggi che incontrano un vero successo.
La grandiosità del Sé viene naturalmente alimentata, infatti, dall’ammirazione e dai riconoscimenti, dal servilismo dei sottoposti e dei mass media. Una disposizione patologica può diventare vera e propria malattia, in queste condizioni, nel momento in cui, gonfiandosi come un palloncino di quelli che piacciono ai bambini, il narcisista che vince troppo si libra nell’aria, perdendo il contatto con la realtà.
Com’è accaduto spesso in passato ai capi troppo amati ed odiati perché dittatori non si nasce ma si diventa: quando le circostanze della vita costruiscono trappole emozionali legate al consenso interessato dei cortigiani e degli apparati di comunicazione all’ammirazione incondizionata di un popolo spinto a fondare il suo sentimento di sicurezza sulla diffidenza e sull’odio verso gli altri, i cattivi, quelli che non amano o non riconoscono il capo.
Una prevenzione intelligente di questo tipo di evoluzione sta, ovviamente nella forza delle istituzioni democratiche e sulla divisione, che esse presuppongono, dei poteri. Poiché siamo uomini, tuttavia, inevitabilmente imperfetti, inevitabilmente imperfette sono anche le nostre costruzioni sociali e il rischio esiste, oggi come in altri tempi.
I meccanismi psicopatologici basati sulla interazione progressiva e sul rinforzo reciproco di fenomeni che
riguardano un individuo dotato in posizione di leader ed un gruppo sociale in difficoltà possono dar luogo a situazioni estremamente distruttive. Con una caratteristica importante legata alla lentezza delle evoluzioni iniziali ed alle lunghe accelerazioni successive in situazioni percepite come situazioni di emergenza.
Risponde tutto questo, almeno in parte, alla domanda che tu mi hai posto?
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