Se il progresso è per pochi ai cittadini resta lo stress- l’Unità 16.12.02
Caro professor Cancrini,
si è costituito un gruppo di persone che si incontrano nella Sezione DS Balduina (iscritte e non), che hanno deciso di dedicare parte del loro tempo ad un problema che riguarda «gli ultimi degli ultimi». Il problema del «disagio mentale».
Può il tema della sofferenza umana della quale il disagio mentale è sicuramente parte integrante non essere politico per la sinistra moderna? È un’esigenza etica sollecitare il confronto su un tema di tale portata. Che sinistra saremmo? Che riformisti? Che progressisti? Che persone libere?
Il nodo è sollecitare la sofferenza e non privatizzarla, contrariamente a quello che questa destra vuole imporci. La finalità del nostro gruppo é sensibilizzare la Comunità sui rischi certi che ci fa correre la proposta «Burani- Procaccini» ricacciandoci indietro di 30 anni (riapertura manicomi, «lager»).
Ogni persona ha la sua dignità; ci domandiamo che cosa è la normalità?
La nostra intenzione è fare seminari di studio, visite guidate al Museo della Mente nell’ex Ospedale Santa Maria della Pietà. È naturalmente per noi importante invitarLa a darci una mano.
Segretario Sezione «F.Mosetti»
DS Balduina
L’iniziativa di cui parli ed a cui volentieri aderisco mi sembra importante da molti punti di vista. Perché può dare un contributo significativo alla discussione che si sta portando avanti in Parlamento, prima di tutto. Perché può dare un segnale, in secondo luogo, su quella che a me sembra una necessità fondamentale del nostro tempo, una urgenza vitale della nostra democrazia.
Mi spiego meglio. Il progresso va avanti e lo vediamo ogni giorno. La speranza di vita degli esseri umani
che possono contare sulla medicina moderna è aumentata già vertiginosamente e continua ad aumentare. Le possibilità di consumare e di viaggiare, di giocare e di divertirsi,di star bene e di vivere la propria vita secondo le proprie scelte sono aumentate in modo incredibile per una quota importante di persone che vivono in Occidente. Tutto ciò non sembra aver coinciso, tuttavia, con un miglioramento decisivo della qualità della vita. Parole come stress e depressione sono entrate nel linguaggio quotidiano degli occidentali proprio in questa fase. L’insoddisfazione basata sul sentimento diffuso di non avere mai abbastanza, di non riuscire a darsi degli obiettivi certi per la propria vita si diffonde fra i giovani e i meno giovani. Combattere la noia con le droghe o con l’alcool, con il gioco d’azzardo o con le attività «estreme» è diventato talmente comune da non fare più notizia. Come se il progresso andasse avanti, insomma, e la qualità della vita, misurata in termini di soddisfazione personale e di gioia di esserci, di realizzarsi, di vivere diminuisse.
Si possono dare molte spiegazioni, ovviamente, per questo tipo di apparente contraddizione. Quella che
a me sembra più interessante, tuttavia, riguarda le forze che si mettono in moto intorno ai progressi della
ricerca, le strutture deputate, in una organizzazione della società che è la nostra, a trasformare in fatti accessibili ai più i suoi risultati. Perché quello che si verifica in questo settore cruciale è oggi, regolarmente, un prevalere sfacciato delle iniziative centrate sulla possibilità di utilizzazione economica del progresso scientifico. Una utilizzazione economica che può condurre, a volte, verso obiettivi di bene comune ma che può condurre ugualmente, poiché il bene comune non è il suo obiettivo fondamentale, a dei danni importanti per una collettività priva, sostanzialmente, di strumenti utili ad evitarlo. Come accade nel caso della psichiatria dove i progressi, sostanzialmente assai modesti, della ricerca scientifica in tema di psicofarmacologia delle benzodiazepine cui si è cercato di attribuire proprietà antidepressive o dei cosiddetti «stabilizzanti dell’umore», ha dato luogo ad un boom vertiginoso di produzione e di vendita centrato sulla moltiplicazione, del tutto irreale, dei disturbi denominati, senza giustificazioni, «depressivi» o «bipolari». Mentre totalmente fuori dell’attenzione del grande pubblico resta la possibilità di intervenire in altro modo, sul piano del sostegno o su quello della psicoterapia. Sviluppando una situazione all’interno della quale anche il disagio deicassaintegrati o dei licenziati della FIAT potrebbe diventare un affare per chi offrirà dei farmaci per renderlo più sopportabile. Gli esempi, ovviamente, si potrebbero moltiplicare. Ragionando sulla povertà dei Comuni e sulla loro concreta impossibilità di mettere a norma dal punto di vista antisismico gli edifici pubblici e, in particolare, le scuole, salvo scandalizzarsi poi del fatto che queste crollino. Ragionando sulle ragioni del mercato delle armi e sul rischio di guerre pubbliche e private che esso comporta e sulla coltre di silenzio spesso in cui questo rischio viene avvolto. Ragionando sulla pubblicità sempre più invadente delle merendine presentate come dietetiche e sul dilagare, non dietetico, delle obesità. Ragionando sulla contraddizione di fondo che c’è fra il tentativo di dare aiuti concreti ai paesi sottosviluppati e il cinismo di chi li usa per vendere prodotti che non riesce a vendere sui mercati ricchi. Ragionando sulla follia di un mondo che mantiene la titolarità dell’industria farmaceutica sui brevetti che riguardano farmaci salvavita del tipo di quelli necessari alla cura dell’AIDS. Ragionando, più in generale, sul modo in cui quella che viene finanziata oggi è quasi più solo la ricerca che promette guadagni a breve termine e risultati funzionali all’aumento del capitale che la sostiene.
Una società democratica, questo vorrei dire, è prima di tutto una società in cui si offrono garanzie intorno
alla possibilità di promuovere attività di ricerca utili al benessere di tutti e di curarne la diffusione al maggior numero possibile di persone. Affidando ai dietologi e ai sociologi il controllo scientifico delle merendine e della pubblicità che le sostiene, ai geologi la valutazione del punto cui si è arrivati nella costruzione di strutture antisismiche, ad associazioni di professionisti e di consumatori il controllo d’efficacia dei farmaci, a studiosi seri di economia la progettazione delle politiche di aiuto ai paesi
sottosviluppati, a studiosi di criminologia e di psichiatria sociale lo studio dei rischi legati alla moltiplicazioni delle armi e alla patologia personale di chi le usa o di chi le fa usare ad altri. Ma curando, soprattutto, che le conclusioni di questi studi, una volta fatti, non restino sulle scrivanie o nei computers di chi li ha eseguiti ma vengano diffusi al grande pubblico e sottoposti quotidinamente all’attenzione di chi decide, in sede di Governo e in sede di Parlamento, ragionando (o non ragionando) su temi che con i risultati di quelle ricerche hanno a che fare.
Ci sono essenzialmente due strade perché questo avvenga. La prima è quella che dota un paese civile di un insieme organico e moderno di istituti pubblici di ricerca destinati a esercitare il necessario controllo sulla ricerca mossa da interessi particolari e privati e a promuovere ricerche centrate sulla tutela di interessi comuni. La seconda è quella che ridà ai partiti le capacità di funzionare come tramite indispensabile fra esperti di settore e cittadini. Costruendo cerniere forti e rapporti stretti fra esperti, elettori e loro rappresentanti. Colmando il divario drammatico che c’è fra competenze reali e decisioni concrete, fra sapere scientifico e discussione politica.
Come voi oggi pensate di fare con la vostra iniziativa su un tema specifico e importante. Come l’Ulivo dovrebbe sforzarsi di far accadere in tutto il paese, sui temi più diversi.
Preparando un programma che non può essere scritto solo dai dirigenti politici e che non deve venire
come qualche volta si dice «dal basso» ma dall’alto delle competenze reali e delle loro capacità di coagularsi in proposte nel confronto dialettico con chi dovrebbe utilizzarli.
Sta qui, a mio avviso, una indicazione importante sul modo in cui un governo della sinistra, libero da conflitti di interesse, può presentarsi come un governo centrato sul tentativo di rinforzare lo Stato, di renderlo più presente e più attivo nel corpodella società. L’affermazione, cara a Berlusconi e alla destra, per cui ci devono essere meno Stato e più mercato è una affermazione gravida di conseguenze drammatiche per il mondo della scienza e della ricerca. La Finanziaria che mette in ginocchio le Università pubbliche e gli istituti di ricerca, gli attentati quotidiani del ministro Moratti alla dignità e alla funzionalità della scuola, il bavaglio che il polo vorrebbe mettere agli storici che fanno il loro mestiere e agli insegnanti che scelgono i libri di testo, l’attacco violento condotto da Sirchia e dai governatori del polo (non mi viene da scriverlo maiuscolo) alla sanità pubblica, lo sfascio programmato che si sta
realizzando nelle politiche del Welfare, l’abbassamento quotidiano di livello nel dibattito e nella programmazione televisiva, la spinta sempre più forte alle concentrazioni editoriali sono segnali inquietanti di un tempo in cui il prevalere del potere di chi è forte tende al ripristino di una legge della jungla incompatibile da sempre con la logica del sapere e con la ricerca della verità.
E incompatibile anche, di questo sono sempre più convinto, con il benessere degli esseri umani. Anche di
quelli che nascono o si portano dalla parte apparentemente più vantaggiosa, destinati a pagare in termini
di noia, di stress e di depressione i vantaggi concreti per cui loro stessi vendono o qualcuno per loro vende (il benessere economico tanto invocato dei figli!) l’anima. Standoci male loro per primi perché poche cose logorano la salute mentale di tutti come il bisogno di non vedere le cose come stanno.
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