Troppo narcisista per non perdere il controllo- l’Unità 30.12.02
Riccardo Taglioli, Torino
Sull’incidente alla conferenza stampa in merito al caso di San Giuliano non si può non esprimere imbarazzo per l’attacco del Presidente del Consiglio, vergogna per il silenzio dei presenti e piena solidarietà per Massimo Solani.
Luigi Bignami
Mi chiamo Luigi Bignami. Sono giornalista scientifico. Voglio far sentire tutta, ma tutta la mia solidarietà a
Massimo Solani per gli insulti ricevuti dal nostro Primo ministro. Dopo averlo sentito al Tg, mi vergogno profondamente di essere italiano, di guardarmi attorno e di pensare che c’è un simile politico che dice cosa devo e non devo dire… Solani ritieniti fortunato, perché ancora una volta hai smascherato la vera faccia di chi ci guida. Tengo a sottolineare di non essere iscritto o attivista di alcun partito o corrente politica, ma mi è venuto da piangere sentendo quanto ti ha detto così spudoratamente davanti a tutti, con l’arroganza di chi crede di essere sempre nel giusto.
Buon lavoro Massimo
Angelo Consoli, Bruxelles
Scrivo per esprimere solidarietà al vostro giornalista Massimo Solani e disgusto per l’ennesima performance di Berlusconi nonché per il silenzio complice degli altri giornalisti. L’Unità è uno dei pochi giornali italiani che non si è piegato al regime berlusconiano, che, visto dall’estero, dove io risiedo, è già dittatura. La condiscendenza nei confronti di un signore che si prende per Dio solo perché ha fatto i soldi e sbeffeggia non solo i suoi avversari ma perfino la sua famiglia, è un giuoco molto pericoloso. Un gioco che, concordo con l’ottimo Furio Colombo, non va assecondato, va spezzato!!! E giornalisti come Solani sono l’unica speranza che abbiamo. Ecco perché gli esprimo la mia più totale solidarietà per quello che può valere. E sempre per quello che può valere, decido su due piedi di abbonarmi al vostro giornale. Grazie per il coraggio che dimostrate quotidianamente, anche per sopperire all’inerzia, ignavia e vigliaccheria della quasi totalità degli altri media.
Commentando i problemi proposti dalle idee megalomani di Mussolini, Denis Mack Smith, uno storico inglese esperto di cose italiane notava che nessun uomo «sarebbe potuto uscire indenne dall’adulazione
sfrenata di cui, vittima consenziente, Mussolini era fatto oggetto. In queste stesse settimane del 1940 si svolse ad esempio una serie di affollate conferenze pubbliche sotto il titolo di Lecturae Ducis, che, con tipica presuntuosa arroganza, suggerisce il parallelo con le Lecturae Dantis destinate, nella Firenze medievale, all’esegesi dantesca. Diversi capi fascisti s’impegnarono a turno ad interpretare qualcuno dei più noti discorsi di Mussolini, in una cornice che, sotto l’egida della Scuola di Mistica fascista, assunse quasi il carattere di una cerimonia religiosa. I propagandisti ebbero l’ordine di scrivere i loro articoli alla luce del principio per cui “tutto quanto di fa in Italia attualmente: lo sforzo produttivo del paese, la preparazione militare, la preparazione spirituale, ecc., tutto promana dal Duce e porta la sua sigla inconfondibile”. A loro volta essi informavano i lettori che dovunque nel mondo – in Inghilterra come in
Congo, a Detroit come nelle isole polinesiane – la prima cosa che ti dicono è questa: “Parlatemi di Mussolini”. Nella scia del Duce ricorre insistente la frase degli italiani: “Se lo sapesse Mussolini”, e quella degli stranieri: “Se avessimo un Mussolini”».
Quando fenomeni di questo genere si mettono in moto intorno ad un essere umano la cui debolezza di base è quella legata al bisogno di essere ammirato, infatti, la possibilità di mantenere un controllo critico sulla propria situazione personale è estremamente ridotta.
Venendo ai tempi nostri e a quello che sta accadendo oggi a Silvio Berlusconi, il quesito che si apre naturalmente intorno ai suoi comportamenti può essere sintetizzato così. Vi sono somiglianze importanti fra il regime instaurato da Mussolini e quello attribuito a Berlusconi oggi? Esiste anche per lui e intorno a lui un sistema adulatorio in grado di fargli perdere il controllo della situazione? Esiste anche per lui il rischio di andare incontro ad una difficoltà progressiva di mantenersi aderente al principio di realtà?
Sul primo punto, mi pare, alcune differenze importanti vanno segnalate, almeno per ora. Capo indiscusso di un unico partito che apparteneva interamente a lui, Mussolini chiarì fin dal momento dellap resentazione del suo governo, che non avrebbe tollerato l’attività di una opposizione parlamentare. Poiché tutto dipendeva direttamente e solo da lui, nel partito e nel governo, quella che si verificò in modo del tutto naturale ed obbligato, fu una selezione dei quadri dirigenti basato solo sulla loro vicinanza al capo, sulla loro capacità di andare incontro alle sue aspettative, al suo bisogno di essere ammirato ed obbedito.
La situazione di Berlusconi era ed è assai diverso. Capo comunque di una coalizione, egli deve tenere conto del parere degli altri. Bossi e Casini, Fini e Follini possono causargli dei problemi se lui non tiene conto delle loro esigenze o delle loro idee. L’opposizione esiste ed è forte, in Parlamento e nelle piazze.
Minacciarla o zittirla non è possibile e le scadenze elettorali ci sono tutte garantendo una verifica popolare ripetuta per le sue scelte e per l’immagine che egli riesce a dare di se stesso e della sua
politica. Anche il più forte dei discorsi sulle riforme non mette in questione questo punto che è quello fondamentale per ogni tipo di democrazia. Nessuno e nemmeno lui, Berlusconi, potrebbe mai sognarsi di pronunciare un discorso come quello pronunciato da Mussolini quando si presentò al Parlamento dopo essere stato nominato presidente del Consiglio.
Guardato dal punto di vista della censura e della libertà di stampa, ugualmente, il paragone non regge. Zeppo di giornalisti (più del 50% dei suoi componenti) il Gran consiglio del partito fascista non era solo uno strumento formidabile di propaganda. Era, nel momento in cui venne imposta una censura sulla stampa, il padrone assoluto dell’informazione. L’unico giornale di opposizione capace di diffondere ancora un numero importante di copie fra i suoi lettori era L’Unità. Che era illegale, tuttavia, e circolava clandestinamente. Finiva in carcere, allora, chi non si adeguava e la situazione è molto diversa, dunque, da quella di adesso perché L’Unità esce tutti i giorni in edicola, nessuno di noi rischia la galera. E perché diversi altri giornali continuano ad uscire e ad avere successo criticando e attaccando il governo di Berlusconi.
Le differenze sono importanti, dunque.
A distanza ormai di 80 anni, tuttavia, quello che è profondamente diverso è il contesto politico più generale. In una situazione caratterizzata da una stanchezza diffusa della politica e da una diffidenza altrettanto diffusa verso i politici, il rischio non è più sicuramente quello di una dittatura basata sulla forza. È, semmai, quello di una forma più morbida di comando da parte di una sola persona basato sul silenzio, sul disinteresse sostanziale dei più e su una percentuale regolarmente superiore al 50% dei votanti a favore di una formazione politica capace di assumere una prevalenza sproporzionata ma mai esclusiva sugli strumenti dell’informazione. Dosando con accortezza quello che può essere detto a tutti e quello che non può essere detto a tutti senza preoccuparsi più di tanto del fatto che gli oppositori (sempre troppo pochi per diventare maggioranza) facciano circolare fra loro le notizie scomode. Puntando sulla pigrizia delle masse, sul servilismo spontaneo dei giornalisti e degli altri professionisti che sentono di doversi mettere in carriera (o in corriera: nella corriera, guidata da chi comanda, che li porta nei luoghi del potere) e sulla frammentazione caotica di un mondo, quello dell’informazione e dell’immaginario collettivo cui essa si rivolge: cronicamente sovraffollato e capace di rendere sempre più difficile, per questo semplice motivo, la ricerca del senso di quello che accade. In Italia e nel mondo.
La figura di dittatore che risulta o che potrebbe venir fuori in questo tipo di situazione non può, evidentemente, portare una divisa da militare. Deve dire, anzi, che odia la guerra. Deve abilmente e continuamente spiazzare i suoi avversari politici usando la diffamazione allusiva (le comunicazioni emozionali sono più importanti di quelle relative ai fatti) e le bugie (di fatto mai controllabili nel breve periodo del contatto mediatico) quando questi (gli avversari) sono convinti di avere in mano delle buone carte da giocare nel dibattito politico. Deve, soprattutto, costruire un sistema fitto di rapporti gerarchici informali di cui tutti debbono sentire il peso e di cui nessuno deve poter però riconoscere con prove certe l’esistenza. Su linee mai dichiarate e sempre evidenti del tipo di quelle proposte da Kafka ne Il Castello e ne Il Processo. Costruendo una situazione in cui il progetto personale si adegui naturalmente e preventivamente alle attese di chi deve approvarlo ed in cui il riflesso emotivo di chi assiste ad un fatto anomalo sia quello della prudenza di fronte a quello che potrebbe essere il giudizio negativo o l’ira del capo. Come è accaduto, con ogni evidenza, nel caso di Massimo Solani, il giornalista de L’Unità offeso da
Berlusconi davanti ad una platea di colleghi incapaci di esprimergli una forma sia pur minima di solidarietà. Come accade ogni giorno in una miriade di situazioni concrete caratterizzate, tutte, dall’ampiezza straordinaria e senza precedenti del conflitto di interessi che si riassume oggi nel nostro presidente del Consiglio.
Il rischio che si corre realmente, in una situazione di questo tipo, sembra legato in gran parte al secondo e al terzo dei quesiti proposti più sopra. L’insieme di gratificazioni narcisistiche legate all’ammirazione degli yesman, all’ammirazione dei succubi e dei furbi che si aspettano qualcosa da lui, alle lodi più o meno sperticate che gli ritornano dai manifesti affissi sui muri, dagli spots televisivi e dai servizi più o meno giornalistici predisposti da quelli che credono in lui o trovano comodo far finta di credere in lui, al silenzio spaventato di chi assiste senza avere il coraggio di protestare ai suoi errori (e sorride ammiccando, magari, della sua spavalderia trasformando in impazienza di statista incompreso quello che è un gesto di pura e semplice maleducazione); ripetuto nel tempo e in crescendo purtroppo naturale col passare del tempo, può, questo insieme di gratificazioni narcisistiche diventare più forte della capacità di Silvio
Berlusconi di mantenere il controllo della realtà? Quante persone sarebbero in grado di reggerne il peso?
Lo scatto d’ira nei confronti del giornalista de L’Unità propone da questo punto di vista scenari niente affatto rassicuranti. L’uomo Berlusconi ci ha abituato a gesti sgradevoli ma sempre ben controllati basati sull’idea, probabilmente, di avere a che fare con un pubblico composto da una maggioranza ampia di persone di bocca buona, che non si scandalizza e può perfino compiacersi della sua grossolanità. L’impressione, tuttavia, è che stavolta il gesto gli sia sfuggito da dentro, che possa essere interpretato davvero come una perdita momentanea di controllo della situazione. Difficile spiegare, altrimenti, il silenzio quasi totale di tutti i suoi amici (un silenzio che sa di sconcerto e di paura di peggiorare la situazione) e il modo innaturale in cui questo silenzio si è prolungato. Un anno si chiude, in questi giorni, in cui la paura di una degenerazione del nostro sistema politico è rimasta tale.
Nulla è accaduto ancora di irreparabile. Che il rischio corso da un essere umano che vive una situazione anomala come quella vissuta oggi da Silvio Berlusconi sia alto, tuttavia, dobbiamo saperlo.
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