Visite obbligatorie, ricoveri coatti Torna lo spettro dei manicomi- l’Unità 30.09.02

Visite obbligatorie, ricoveri coatti Torna lo spettro dei manicomi- l’Unità 30.09.02

Settembre 30, 2002 2001-2010 0

Caro Cancrini,
vorrei riportarle, per discuterne insieme, l’articolo 5, relativo alla organizzazione delle Sra (strutture assistenziali con assistenza continuata) del testo unificato proposto relativo alla Commissione sanità del Senato. Si afferma lì decisamente:
Art. 5 (Organizzazione delle Sra)
1.La struttura residenziale con assistenza continuata (Sra) è destinata alle persone affette da disturbi mentali in fase cronica, non assistibili a domicilio, che necessitano di interventi terapeutici e riabilitativi, volontari o obbligatori.

2.La struttura residenziale con assistenza continuata (Sra) deve essere dotata di adeguati spazi verdi e di ricreazione deve assicurare al malato interventi medici diagnostici e terapeutici, interventi psicologici,
psicoterapici e psicodiagnostici, attività riabilitative, attività lavorative, ricreative e attività fisica.
3.Devono essere garantiti, tra strutture pubbliche e convenzionate, un numero di posti corrispondente ad almeno 20 ogni 100 mila abitanti. In ciascuna regione o provincia autonoma, devono essere organizzate almeno tre Sra ad alta protezione per accogliere le persone affette da gravi psicopatologie e che rifiutino l’inserimento in altre strutture o comunità.
4.I malati destinati all’ospedale psichiatrico giudiziario sono ricoverati, dalla data di entrata in vigore della presente legge, in tali strutture ad alta protezione. Esse dovranno essere dotate di aree residenziali protette per assicurare il rispetto dello svolgimento di eventuali misure di sicurezza emesse dall’Autorità Giudiziaria.
5.Le Sra sono suddivise in moduli flessibili, dotati di un massimo di 20 posti da assegnare a gruppi di pazienti omogenei per fabbisogno assistenziale, tipologia, età e sesso. Per gli anziani con autosufficienza limitata o non autosufficienti, si provvede tramite l’istituzione di specifici servizi di psicogeriatria.
La domanda che sorge spontanea di fronte a questo testo mi sembra molto semplice. I vecchi ospedali psichiatrici, quelli superati con la 180, sarebbero rientrati in questa normativa? Detto in altri termini: li si
può, li si deve ricostruire tali e quali? L’ipotesi di nuove normative non fa alcun cenno alle comunità terapeutiche, mette di nuovo lo psichiatra al centro di tutto il sistema e di tutte le strutture. Perché ta
cciono tutti di fronte a queste proposte? Quello dei lager psichiatrici non era sentito, un tempo, come uno scandalo nazionale? Che fa l’Espresso? Che fa Panorama? Davvero sono tutti convinti di aver avuto torto combattendo quella che sentivano come una battaglia per la dignità dell’essere umano e del suo essere malato?
Francesco Dell’Acqua, Genova

È vero. Il testo di legge sul riordino dell’assistenza psichiatrica presentato in Commissione dal relatore di maggioranza è un testo che permetterebbe, se venisse approvato, il ripristino del vecchio Ospedale Psichiatrico. Non c’è infatti limite alcuno al proliferare dei moduli di degenza posti nello stesso luogo fisico. Non c’è accenno alla trasformazione comunitaria delle strutture. L’idea dell’assistenza continuativa obbligatoria è quella su cui si reggevano i vecchi ospedali. Cosa ancora più grave, la legge non prevede standard di personale né fa previsione sui costi: quello che conta, per chi l’ha scritto, sembra assicurare lo spazio necessario per il contenimento dei «matti».
L’importante è chiuderli da qualche parte. In un luogo di cui si possa dire e pensare che è terapeutico. Senza preoccuparsi però del fatto che possa esserlo realmente.
Molti altri punti della proposta, del resto, sono sconcertanti. Iniziando dalla introduzione, nel nostro ordinamento giuridico, di una ipotesi di accertamento sanitario obbligatorio (ASO) propedeutico al vero e proprio trattamento sanitario obbligatorio (TSO) che verrebbe allargato, sempre se il testo dovesse essere approvato, dai portatori di sintomi psichiatrici ai tossicodipendenti e ai portatori di malattie del corpo. Detto in soldoni. Se io «sospetto» che un altro sia malato, assuma farmaci proibiti o abbia dei disturbi psichiatrici posso chiedere che venga sottoposto a visita specialistica anche se lui non vuole e lui non potrà opporsi. Con effetti potenzialmente devastanti sul suo rapporto con il medico che lo visiterà perché, se lui non vuole, la visita avrà il carattere di una intrusione nel suo mondo privato. Ma con effetti devastanti, soprattutto, sulla organizzazione delle attività sanitarie che verranno rapidamente oberate (quante sono le madri che pretenderanno un ASO sulla figlia che fa la dieta o sul figlio che si fa uno spinello? Quanti ASO verranno proposti e richiesti per il coniuge che ci fa arrabbiare o per il dipendente che non rende quello che dovrebbe?) da un numero sicuramente molto alto di visite non gradite da colui
che ne dovrebbe essere oggetto. Cosa succederà a chi non si sottopone all’ASO la legge non lo precisa ma il rischio che si passi al TSO ed al ricovero per eseguire un ASO in condizioni di «cattività» è purtroppo assai chiaro a chi la legge oggi. Mentre nulla di chiaro c’è a proposito delle conseguenze che potrebbe avere un ASO senza risultati (è sano, non è malato di mente, né di corpo) su chi lo ha richiesto. Il sanitario dovrà riferire l’esito della visita a chi l’ha richiesta? Il sano la cui sfera privata è stata violata da un ASO e da un TSO potrà rifarsi su di lui?
Difficile capire, davvero, a quali lontananze siderali dalla realtà della gente che sta male possa arrivare la mente del legislatore che si pone in astratto la domanda su quello che si potrebbe o dovrebbe fare per
curare chi non si cura da solo. Il lavoro del medico e dell’operatore sociale è fatto anche di iniziative volte ad acquisire il consenso agli accertamenti e alle cure perché il medico e l’operatore sociale sanno bene che le persone che stanno male a volte hanno paura di ammetterlo anche con sé stesse o hanno maturato una sfiducia (non del tutto infondata, spesso) nei servizi e nei sistemi di cura che vengono loro proposti.
Costruire una alleanza con la persona che sta male e che ha paura di riconoscerlo è compito difficile ma importante e sempre possibile da eseguire se il medico ha pazienza, cultura, professionalità. Buttarlo in ASO è un modo di non tenere conto del fatto per cui la coercizione serve solo ad accentuare la diffidenza, il sospetto, il fastidio, la voglia di fuggire da cure che non è mai possibile imporre fino in fondo. Dimenticando che la diagnosi è possibile, in medicina e in psichiatria, solo se la persona collabora.
Un altro aspetto drammatico della proposta portata in Commissione dal relatore di maggioranza cui lei fa riferimento è quello relativo alle sue omissioni. Perché quelle che vengono completamente dimenticate,
nel testo, sono le strutture di cui la letteratura scientifica, le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’esperienza concreta dei servizi dicono oggi (siamo nel 2002 e non nel 1902, anno in cui si pensava di dover costruire gli Ospedali Psichiatrici) che sono le più utili per il trattamento prolungato dei disturbi psichiatrici. Preoccupato di assicurare gli ASO, i TSO e i prolungamenti per anni dei TSO (la sigla, inventata da me, potrebbe essere RPO, reclusione perpetua obbligatoria) in apposite
strutture, accuratamente chiuse, il relatore di maggioranza si scorda, infatti, del tutto dei pazienti che chiedono di curarsi e che effettivamente si curano nelle comunità terapeutiche o nelle case famiglia e di tutti quelli che avrebbero bisogno di essere aiutati più di quanto non lo siano adesso con la psicoterapia e con adatti progetti di reinserimento. Per loro, infatti, non si prevede nulla. Fedeli all’idea (medioevale? barbara? celtica?) per cui matti sono solo quelli che non accettano di curarsi. Quelli che accettano le cure matti non sono, infatti, e nulla debbono aspettarsi da una riorganizzazione dei servizi psichiatrici.
Molto altro ci sarebbe da dire su questa proposta di legge, di cui io non penso che verrà mai approvata e che egregiamente serve a diffamare, tuttavia, i servizi psichiatrici che lottano, da Basaglia in poi, per affermare i diritti e difendere la dignità della persona umana malata e che di molte altre cose avrebbero bisogno (più personale, più strutture, più possibilità di offrire aiuto psicoterapeutico ai loro pazienti) per
farlo meglio di come lo fanno oggi. L’idea da cui si dovrebbe partire (il relatore di maggioranza non ne parla perché la scure di Tremonti incombe sicuramente anche su di lui) è quella per cui un servizio psichiatrico che volesse mettersi al passo di quelli attivi oggi in Europa dovrebbe utilizzare il 5% e non l’1% delle risorse destinate alla Sanità. Affermato solennemente da Veronesi, questo principio è caduto nel dimenticatoio da quando il suo posto è andato a Sirchia. Quello di cui il relatore di maggioranza probabilmente non si rende conto, tuttavia, è che la rete ospedaliera per TSO e per RPO prevede, negli standard da lui stesso indicati, la attivazione di circa 18.000 (diciottomila!) posti letto. Con costi che supererebbero (rapidamente e, purtroppo, inutilmente) il 5% di cui sopra.
I «matti» di Gorizia esponevano sulla strada che passava accanto al muro dell’Ospedale dei cartelli in cui riportavano i dati sul numero degli incidenti stradali che si verificavano in Provincia. Accanto alle cifre relative ai morti ed ai feriti esprimevano, i matti, una domanda irriverente e provocatoria: «siamo noi i matti, quelli che stanno qui dentro, o i matti siete voi, quelli che corrono e si ammazzano lì fuori?».È un
pensiero che mi torna in mente irresistibilmente, questo, tutte le volte in cui mi capita di ragionare sulle proposte che vengono fatte dalle persone che pensano di essere sane e dicono la loro, senza saperne nulla, sui servizi e sui pazienti psichiatrici. Matti, mi dico, non sono i matti, matti sono quelli che dicono, senza conoscerli, quello che si dovrebbe fare per loro. E so che forse, alla fine, quello che ispira i loro discorsi e le loro proposte (di legge) altro non è che il bisogno di tenere lontana la follia che urge e grida dentro di loro. Da cui ci si difende soprattutto così: immaginando le terapie coatte e i luoghi dell’esclusione destinati a quelli che servono a rassicurarli: facendo sentire la follia lontana e diversa, qualcosa con cui noi «normali» non abbiamo nulla da spartire.
Abbiamo, caro Francesco, una buona legge, nata da una grande e appassionata esperienza di lavoro. Avremmo oggi soprattutto il dovere (Veronesi l’aveva capito) di costruire un numero sufficiente di quelle
strutture alternative all’ospedale che dovevano essere costruite già da tanti anni.
Aprendo un fronte serio di lotta politica e culturale per dire che sarebbe davvero «folle» e comunque molto scorretto nascondere dietro una proposta inaccettabile quella che è solo, ancora una volta, la forza del pregiudizio e dell’ignoranza su cui esso da sempre si fonda.

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