Il matto tra noi è educativo per l’intera società-l’Unità 28.05.83

Il matto tra noi è educativo per l’intera società-l’Unità 28.05.83

Maggio 28, 1983 1981-1990, interviste 0

Intervista a Luigi Cancrini sulla legge mancata e sui problemi nel Lazio – Il rapporto follia-violenza e il sentimento di pericolosità La «180» è praticabile purché ci siano le strutture sul territorio

Nel ’73 una studentessa di psicologia fece una ricerca su quattro quotidiani: per un anno intero rilevò quante volte te parole, matto, folle, pazzo venivano abbinate a episodi di violenza e quindi a pericolosità sociale. La stessa ricerca l’hanno ripetuta due studenti nell’82 registrando, imprevedibilmente, un calo del 20% di questo tipo di informazione. Del resto è lo stesso Censis (sul quale non possono certo gravare sospetti filo-riformisti) ad ammettere che il numero di delitti commessi da “folli” è diminuito dopo l’entrata in vigore della 180. Invece, nell’opinione pubblica, influenzata a sua volta dalla stampa, persiste tenacemente la convinzione che i matti in libertà sono pericolosi a sé e agli altri e fa polemica infuria, i dibattiti si riaccendono, ogni qualvolta l’ultimo fattaccio di cronaca nera ripresenta il problema.
Da queste e altre considerazioni più contingenti — come la recente bocciatura da parte del governo della
legge regionale sull’assistenza psichiatrica — siamo partiti per affrontare con Luigi Cancrini, psichiatra e consigliere del PCI alla Regione, l’arcipelago del disagio psichico, le resistenze, le difficoltà, ma anche i successi e le vittorie a metà.
E allora, senza mezzi termini, il malato mentale ha più degli altri reazioni violente, che sfociano nel delitto?
No, assolutamente. E già Basaglia l’aveva negato. Statisticamente è molto più pericolosa la persona -normale: Il rapporto tra delitto e disagio psichico è tutto emotivo. Dice Bion (psicanalista inglese): qualsiasi presa di contatto con l’ignoto è accompagnata da intensa angoscia, da sensazione d’azzardo, dalla percezione di incontrollabilità e irreversibilità di quanto potrà essere messo in moto; in una parola
da un sentimento di pericolosità. La persona “diversa», il matto, provoca questo tipo di reazione.
Quindi la diffidenza o peggio l’ostilità sono ineliminabili?
È un sentimento che certamente non può essere stigmatizzato moralmente, ma deve essere compreso e modificato. Per esempio attraverso la maturazione e la presa di coscienza indotta dall”educazione». In questo senso è educativa anche l’apertura degli ospedali psichiatrici, perché man mano che si acquisiscono elementi del reale, il vissuto si sdrammatizza. Il matto tra noi è ‘terapeutico» per la società.
E poi c’è ancora un’altra considerazione: il rapporto follia-violenza è anche un fenomeno di rappresentazione. C’è la ‘180’, è una legge che esiste. Ad essa ora si può imputare il delitto. Diventa
un punto fermo «di riferimento» e di ‘attrazione».
Provocatoriamente, Cancrini, la legge di riforma funziona?
La ‘180’ è assolutamente praticabile. Si può fare assistenza psichiatrica senza manicomio, purché ci diano
adeguate strutture sul territorio. Laddove si sono create (Emilia, Toscana, Umbria, Piemonte, Lombardia) la riforma cammina speditamente. Non è una mia opinione, ma un dato che si ricava da studi e ricerche fatte in quelle regioni. Se al contrario non ci sono presidi territoriali, sui Servizi di Diagnosi e Cura si concentra una patologia grave e questi si trasformano in micro-manicomi (come avviene nel sud).
E nel Lazio che succede?
La realtà del Lazio è intermedia. I processi di destituzionalizzazione sono stati avviati, sono sorti buoni
Centri di Igiene mentale. Restano gravissimi carenze e vuoti da colmare e tuttavia non si può affermare che è tutto un disastro.
Intanto però nel Lazio non si riesce neppure a varare la legge attuativa della 180 che istituisce i dipartimenti e che dovrebbe programmare e finanziare l’assistenza psichiatrica.
È storia di questi giorni che risale però a due anni fa. La legge di Riforma aveva fissato un termine di scadenza, il 31 dicembre ’81, per le convenzioni con case di cura e istituti psichiatrici convenzionati. Il pentapartito si limitò a preparare una leggina di un solo articolo per la proroga. Furono i comunisti che presentarono già nell’aprile ’82 il progetto per i Dipartimenti. Ad agosto fu votata, su nostra proposta, una delibera consiliare, considerata poi insufficiente dal commissario di governo. Si trattava solo di trasformare il decreto in legge, ma cominciarono divisioni e lacerazioni, ripensamenti e aggiustamenti. Risultato: la legge partorita fu un ibrido che ha costretto lo stesso governo a rigettarla per incompatibilità con la ‘180».
E le responsabilità?
Di tutta la maggioranza, che dal settembre al dicembre ’82, non riuscì a mettere all’ordine del giorno in Commissione, le osservazioni del commissario di governo e che poi respinse in aula gli emendamenti comunisti che avrebbero corretto la legge.
Quali le resistenze concrete?
Certo, gli interessi reali intorno alle case di cura private e ai miliardi che vi ruotano dentro e intorno (circa 55 l’anno che ‘riconvertiti» potrebbero cominciare ad avviare la nuova fase). Poi gli stessi psichiatri che in molti casi sono anche proprietari delle cliniche. E non è solo un discorso biecamente speculativo il loro. Bisogna capire che sullo psichiatra si è abbattuto un ciclone culturale che ha sconvolto le basi della materia su cui aveva impiantato la sua professionalità. Non è semplice a cinquantanni avere l’umiltà di
ricominciare, gettando alle ortiche la propria formazione. Terzo nodo di resistenza sono le famiglie, soffocate da un doppio cappio: dalla percezione delle insufficienze del proprio calato e dal rischio che questi non riesca a uscire da sé per vivere la sua vita. La famiglia iperprotettiva e paralizzata dalla stessa psicosi (che assorbe e restituisce), vede nell’ospedale un’illusoria salvezza. Il medico tradizionale con i suoi
attrezzi, la clinica con i farmaci sono vissuti come una continuità del grande utero familiare dove il malato è ‘nascosto». Oggi le famiglie si trovano a pagare un prezzo altissimo per la mancanza di capillarità dei servizi territoriali che la sosterrebbero nel difficile compito di ‘partorire» il figlio e la sua ‘follia».
Cancrini, che ne sarà adesso della legge regionale?
So per certo che il nuovo presidente della giunta, Bruno Landi, ha manifestato l’intenzione di trovare soluzione rapida a questa vicenda e noi comunisti siamo immediatamente disponibili al confronto
Anna Morelli

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