Nuovi barbari al potere La democrazia può fermarli- l’Unità 21.07.03

Nuovi barbari al potere La democrazia può fermarli- l’Unità 21.07.03

Luglio 21, 2003 2001-2010 0

Caro professor Cancrini,
si parla tanto di «Impero Americano” … proviamo a vederla diversamente: e se invece di essere un tentativo di Impero Mondiale, gli Usa fossero assimilabili agli antichi barbari? Barbari che irrompono nella storia moderna travolgendo le frontiere dei popoli civilizzati, inevitabilmente «rammolliti» dalla stessa
loro civiltà; è triste, ma la civiltà e la cultura sono antitetici alle tragiche virtù guerresche. Ed ecco l’Europa emblematicamente umiliata dalla sprezzante frase di Rumsfeld: «la vecchia Europa». È in quel dire «vecchia» c’è tutto lo sprezzo verso ciò che si invidia e perciò si tende a umiliare con la violenza.
Ho troppi problemi personali per crucciarmi anche per la situazione mondiale, ma mi è difficile spegnere in me il buonsenso.
Seppur un «buonsenso algido» e non partecipativo. Lo so, la mia è «aria fritta», ma la «teoria» non è sempre «aria fritta». Lei nell’analisi su Berlusconi ha esposto con coraggio le sue idee. Ma chissà, forse sbagliamo: non è forse il conformismo una delle mille armi di sopravvivenza delle specie? Se un piccione scappa, tutto il gruppo, senza curarsi del perché, spicca anch’esso il volo e magari si salvano tutti da un pericolo. Viltà? Forse, più banalmente, necessità. Io non mi sento un coraggioso, da giovane lo ero di
più, ma oggi…
Enrico Facconi, Milano

Il pregio fondamentale della tua lettera, caro Enrico, mi sembra quello dell’avvicinamento fra quelli che sono due personaggi a diverso titolo emblematici per chi riflette oggi da sinistra sulle vicende del mondo. Berlusconi e Bush non sono soltanto alleati, sono assai simili fra loro. Per provenienza sociale ed economica, per struttura di personalità, per atteggiamenti e scelte politiche, ambedue si oppongono a modi tradizionali e consolidati di fare politica. Considerandoli superati o «vecchi» all’interno di quella che non è solo una strategia propagandistica ma una cultura (o una incultura) basata sul rifiuto di quello che è o dovrebbe essere l’impianto politico delle democrazie occidentali che stanno dando vita all’Europa. Una cultura (incultura) di cui il nostro Presidente ha dato un saggio indimenticabile proprio in quel Parlamento Europeo che sta tanto antipatico a Bush ed ai suoi.
C’era una volta, all’inizio dell’800, il liberismo selvaggio della borghesia. Forte insieme del potere ricevuto dalla rivoluzione industriale e del vuoto lasciato dalla crisi irreversibile dei privilegi di nobili e clero voluto dalla rivoluzione francese, la borghesia faceva il bello e il cattivo tempo. La legge morale che essa imponeva era quella, semplice e dura, del profitto. Politica, magistratura e stampa, partecipi dello stesso blocco sociale egemone, si muovevano in modo sostanzialmente concorde a difesa di quello che veniva sentito come «il progresso dell’umanità». L’idea che i paesi industriali ricchi fossero destinati a dominare il resto del mondo imponendo a tutti le proprie idee, religiose, politiche ed economiche, era un’idea sentita come naturale e giusta, allora, da maggioranze larghissime. L’idea che all’interno di un certo paese quelli che dovevano contare fossero solo i detentori della ricchezza si traduceva nello sviluppo di democrazie in cui potevano votare solo i più ricchi ed in una emarginazione violenta e senza scrupoli di quelli (operai e contadini) che cominciavano a riconoscersi allora come dei proletari.
Ci sono molti modi di raccontare le storie dei cento anni successivi al 1848, data in cui Marx ed Engels pubblicarono il loro Manifesto del Partito Comunista. Il più semplice e il più aderente alla realtà sembra a me tuttavia quello di una conquista progressiva di diritti da parte di questi ultimi. Contrastatissimo dai liberali, il voto a suffragio universale (con cui anche i lavoratori potevano votare) fu ottenuto, in Europa, nei primi anni del ‘900 mentre lo sfruttamento lavorativo dei minori era stato abolito solo alla fine dell’800. Il diritto alla salute, alla casa, alla pensione e a degli orari dignitosi maturarono ugualmente nel
tempo, lentamente, definendo una situazione in cui la borghesia industriale e i proletari si trovavano sempre più legati da quello che Pietro Ingrao definiva, negli anni 80, un compromesso storico-sociale alla base della moderna società industriale. I cui capisaldi sono essenzialmente due: quello legato alla sovranità popolare e alla trasparenza delle scelte fatte da chi governa (che ne risponde a tutti gli elettori) e quello legato alla divisione dei poteri perché l’autonomia della magistratura e della stampa sono essenziali per assicurare proprio questo tipo di trasparenza.
Il tempo che viviamo ora, caratterizzato da leader del tipo di Bush e Berlusconi, è sempre più chiaramente un tempo in cui questo tipo di equilibrio è in crisi. Capaci di mantenere il controllo della situazione finché lo scontro fra interessi di chi ha la proprietà delle imprese e di chi nelle imprese lavora si svolge all’interno del singolo stato, sindacati e partiti della sinistra hanno incontrato difficoltà sempre più gravi nel momento in cui una globalizzazione guidata dalle multinazionali ha liberato queste ultime dalla necessità di trattare con loro.
L’Olivetti o la Goodyear che chiudono in Italia e riaprono in paesi in cui il lavoro costa meno sono esempi banali di un ragionamento che ha permesso alle imprese più grandi di smarcarsi dal controllo dei lavoratori e di chi li rappresenta nel paese di origine. La possibilità offerta da un sistema bancario internazionale largamente aperto ai movimenti invisibili di denaro e capace di riciclare senza problemi il denaro illecito proveniente dai traffici di armi e di droga, di persone e di reati fiscali ha portato al definirsi, progressivamente più chiaro, di un sistema di potere che non ha più un riferimento preciso in questo o quel paese ma che ha un forte bisogno di poter contare, soprattutto nei paese forti, su governi amici.
Da eleggere e sostenere utilizzando il potere forte della pressione economica e del denaro. Da difendere di fronte all’opinione pubblica (perché tutti ancora oggi possono votare) utilizzando la proprietà e/o il
controllo dei mass media. E da difendere, anche però infiltrandola o controllandola, di fronte ad una
magistratura che potrebbe richiamarsi ai grandi principi su cui si regge ancora oggi, almeno formalmente, una società democratica.
Furio Colombo ha più volte segnalato, su questo giornale, il modo in cui questo tipo di spinta si è caratterizzata, in questi ultimi decenni, in termini di tendenze neo-conservatrici. Quello che sembra a me importante segnalare, tuttavia, è il fatto per cui questo tipo di tendenza non può essere considerata, per ragioni che sono a mio avviso strutturali, compatibile con gli ordinamenti di una società democratica. Combatterla corrisponde naturalmente, dunque, a difendere questi ordinamenti.
Il problema particolare dei disturbi di personalità proposti dai leaders di cui tu parli, caro Enrico, va visto all’interno di questo contesto. Più caratterizzato da tendenze paranoiche quello di Bush, più francamente psicopatico quello di Berlusconi, ma funzionali tutti e due a tendenze che ne rendono possibile o necessaria l’ascesa e fortissimo, una volta acquisito, il potere. Molto c’è da riflettere, naturalmente, sul modo in cui il carisma personale, di cui persone come queste sono comunque dotate, è in grado di rinforzare le tendenze che li hanno portati avanti: moltiplicandone a valanga gli effetti con decisioni improvvise, brutali (dal tipo guerra all’Iraq, scontro frontale, all’ok corral con la magistratura o corse all’aumento, da tutti e due invocato, delle spese necessarie per fare la guerra) che altre persone più equilibrate e riflessive (meno, cioè, patologiche) avrebbero avuto maggiore difficoltà a prendere. Quello che è certo, tuttavia, è che patologia personale e tendenze antidemocratiche si muovono oggi in modo sinergico, si rinforzano a vicenda, costituiscono un mix potenzialmente assai pericoloso. L’idea da te suggerita dei nuovi barbari mi sembra particolarmente efficace per descrivere questi pericoli. A noi, all’interno di una battaglia combattuta per i diritti di tutti, evitare che essi arrivino a realizzarsi.
Quello che dobbiamo fare con forza sempre maggiore a tal fine, mi pare, è trasformare in ragionamento politico costruttivo quell’ansia di pace e di legalità che in tanti, bambini e adulti, continuano a segnalare con le bandiere della pace: un simbolo entrato a pieno titolo, mi pare, nell’immaginario collettivo di questo tempo. Anche se tanta stampa e tanta tv non se ne sono ancora accorte.

PDF

About the author

admin:

0 Comments

Would you like to share your thoughts?

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Lascia un commento