Ospedali psichiatrici giudiziari: migliorarli, ma non cancellarli- l’Unità 18.02.02

Ospedali psichiatrici giudiziari: migliorarli, ma non cancellarli- l’Unità 18.02.02

Febbraio 18, 2002 2001-2010 0

Caro professor Cancrini,
lavoriamo da anni, in qualità di psicologhe, presso l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo
Fiorentino. Com’è noto, l’istituzione Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG, ma fino al 1975 era denominata «Manicomio Giudiziario») nacque alla fine dell’800 allo scopo di separare i malati di mente, autori di reati, dagli altri: parte dei soggetti internati provenivano dalle carceri, dove si era manifestata la
follia (che spesso follia non era ma ribellione sociale, espressione degli acuti conflitti sociali di quel tempo) parte erano stati prosciolti dai delitti commessi per vizio totale di mente. È solo con il codice penale Rocco, dell’Italia fascista del 1930,che venne introdotta la misura di sicurezza del manicomio giudiziario cioè del trattamento penale che ancora oggi legittima l’internamento di un soggetto, autore di reato, in questo tipo di istituzione.
Dopo anni di dibattiti, di proposte legislative discusse e puntualmente accantonate, l’OPG continua ad essere una struttura chiusa, isolata dal circuito di assistenza psichiatrica in quanto condannata ad essere legata al carcere. La sua organizzazione interna rimanda al regolamento penitenziario: gli operatori sanitari sono infatti un numero irrisorio rispetto alla presenza del personale di polizia penitenziaria ed il doppio mandato sociale, cura e custodia fa sì che l’aspetto sanitario risulti spesso subordinato a
quello custodialistico.
È pur vero che dell’OPG si parla solo quando i mass-media amplificano casi particolarmente clamorosi ed anche tra i tecnici e gli addetti ai lavori, sono pochi coloro che conoscono il circuito ed il meccanismo attraverso il quale un soggetto, affetto da una patologia psichiatrica, può entrare in una struttura di questo tipo. Ne deriva infatti un’immagine stereotipata del Matto Criminale quale figura eternamente
pericolosa, e pertanto destinata ad un immutabile destino di segregazione e di sospetto. Non l’orrore
ma la disperazione il linguaggio che parlano certe esistenze violate, sradicate, mutuate negli affetti e
nei bisogni primari.
Ci siamo chieste più volte se l’OPG, nel suo rigido impianto normativo ed organizzativo, riesca ancora oggi a svolgere una funzione.
Riaprire il dibattito sugli OPG deve comportare una riflessione lucida e puntuale, scevra dai consueti preconcetti ideologici, culturali e politici. L’attenzione deve, a nostro avviso, orientarsi sui bisogni di questi
pazienti che non sono solo quelli del contenimento della fase acuta della malattia, ma attengono a quella tappa importante del percorso terapeutico che non può prescindere dal confronto, dalla consapevolezza e dalla rielaborazione del gesto compiuto. In quest’ottica un luogo «protetto» dove è possibile accostarsi ai sentimenti di colpa, dove è consentito sperimentare l’espiazione, quale atto riparativo, ha una sua ragione di esistere. Non serve proporre demagogicamente la chiusura degli OPG, serve invece
un intervento serio e rigoroso che restituisca ai malati la loro dignità di persona e all’istituzione la dignità di una struttura sanitaria adeguata ad accoglierli.
Discutiamone di nuovo, andiamo a rispolverare le antiche proposte di trasformazione degli OPG da carceri, quali sono, in strutture sanitarie, quali dovrebbero essere. Non disperdiamo l’entusiasmo e la professionalità di operatori che da anni lavorano silenziosamente all’interno di una realtà per troppo tempo dimenticata.
Maria Antonietta Lettieri
Eleonora Ragazzo

L’impressione più forte che si vive entrando in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Opg) come quello di Montelupo Fiorentino è un’impressione di disorientamento. Nutrito da film idioti del tipo «Il silenzio degli innocenti», il pregiudizio di chi pensa a un luogo dove sono rinchiusi i matti più pericolosi, è quello di un
incontro con «Hannibal the Cannibal» sorvegliato a vista da decine di uomini armati che rischiano la vita ogni volta che lui si muove. Serial killer e psicopatici programmaticamente dediti ad ogni tipo di violenza non abitano qui, tuttavia, trovano vita solo nella sceneggiatura dei film americani: gli sponsor più importanti di un sistema carcerario violento, che ospita un numero di detenuti da 5 a 10 volte superiore, in percentuale, a quello dei paesi europei e che sostituisce di fatto, nel bilancio degli Stati Uniti, le spese del sistema sanitario nazionale.
Sono sostituiti qui, in un paese del cui livello di civiltà a volte è bene essere orgogliosi, da un insieme di persone rinchiuse perché malate e paurosamente deboli. Da persone che andrebbero aiutate a capire che cosa è successo loro nel corso di una vita cui sarebbe importante restituire un senso: aiutandoli ad appropriarsi o a riappropriarsi di un destino che dovrebbe essere il loro.
La considerazione immediatamente successiva, è quella proposta dalla vostra lettura. Irreale nella sua atmosfera, l’Opg è un luogo tremendamente reale per le funzioni che svolge. Insostituibile esso è, infatti, per le categorie di utenti cui voi fate riferimento: quello dei pazienti psichiatrici che non trovano risposta adeguata nei servizi territoriali, quello dei condannati che presentano disturbi psichiatrici in carcere e quello degli autori dei crimini più «inquietanti». Tre situazioni diverse, non omogenee e che debbono però essere valutate separatamente.
Poco da dire, in teoria, sul primo gruppo. Il superamento dei manicomi voluto da Basaglia doveva essere seguito dallo sviluppo di strutture in grado di ospitare, curandole, le persone che stanno troppo male per vivere in casa. La possibilità di corrispondere alla necessità di cure residenziali con i soli servizi ospedalieri destinati al trattamento sanitario obbligatorio non è realistica. Carenza di posti e di spazi obbligano a ricoveri troppo brevi impedendo lo sviluppo di un progetto di cura, e caricando sulle famiglie un peso spropositato di dolore e di responsabilità. Un sistema organico di comunità terapeutiche costituisce una necessità fondamentale, ad oggi non esaudita, dell’assistenza psichiatrica. Non realizzarlo spinge dapprima al reato e poi all’Opg un numero di pazienti che potrebbero (dovrebbero) essere curati fuori, che pericolosi non sarebbero stati mai e che pericolosi diventanoin rapporto alle inadempienze del sistema di cura.
Un discorso di fatto molto simile riguarda la seconda categoria dei vostri utenti. Se un detenuto sta male e deve essere operato, affidarlo al sistema sanitario nazionale per il tempo in cui ha bisogno di cure è del tutto normale. L’idea per cui il detenuto che va incontro a un episodio psicotico acuto o a una sindrome depressiva debba essere inviato all’Opg si regge solo sull’idea per cui non ci sono strutture, nel sistema sanitario nazionale, in grado di ospitarlo e di curarlo.
L’esistenza dell’Opg è anche qui, di fronte ai problemi di questo tipo di utente, una esigenza legata all’insufficienza delle strutture che dovrebbero occuparsi dei pazienti con problemi psichiatrici.
Più delicato e più complesso, il problema proposto dalla terza categoria di utenti. L’esistenza di disturbi gravi della personalità direttamente collegati allo sviluppo di comportamenti criminali pesanti è un dato non più controverso della letteratura psichiatrica moderna. Patologie del senso morale e del Super-Io (nel
senso proposto, per esempio, da Otto Kernberg) si associano abbastanza spesso a patologie di tipo narcisistico e/o paranoico.
Propongono la necessità assoluta di interventi capaci di basarsi sulla reclusione protratta di persone inaccessibili, altrimenti, a ogni tipo di intervento terapeutico. Purché la reclusione non sia il solo intervento, però, perché pochi pazienti hanno bisogno come questi di cure centrate sulla costruzione di un rapporto personale forte e di una ricostruzione attenta, al suo interno, della loro storia di bambini e di adulti.
L’attuale organizzazione di un Opg dovrebbe essere superata.
La logica chiede, tuttavia, che si ragioni sino in fondo sui tempi delle decisioni e sul dato per cui comunque i bisogni con cui l’Ospedale si confronta oggi sono bisogni reali. Cui occorre dare risposte da subito.
Porre mano alla attuazione piena della riforma voluta da Basaglia venti anni fa aprendo, sul territorio, strutture in grado di offrire cure residenziali di una certa durata ai pazienti psichiatrici che ne hanno bisogno chiede un impegno politico e amministrativo forte. Chiede di dedicare alla psichiatria il 5% almeno (Veronesi lo ha proposto ma non lo ha fatto) delle spese sanitarie. Se questo impegno ci fosse
(e non c’è) i nostri pazienti andrebbero comunque curati da oggi.
Del tutto assurdo sarebbe, in questa condizione, non lavorare seriamente per migliorare le condizioni attuali degli Opg. Ragionando sulle loro finalità che dovrebbero essere di cura prima che di custodia. Creando condizioni in cui queste finalità possano essere effettivamente perseguite. Vorrei concludere questo discorso, ora, con una piccola nota di ottimismo. Psicologi e psichiatri, infermieri e agenti, che lavorano nell’Opg affrontano ogni giorno difficoltà di ogni genere. Ho sentito un insieme di volontà e di scelte caratterizzate da un livello alto di civiltà e di impegno.

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