Tossicodipendenze, strategie senza pensiero unico-l’Unità 07.01.02

Tossicodipendenze, strategie senza pensiero unico-l’Unità 07.01.02

Gennaio 7, 2002 2001-2010 0

Oggi il professor Cancrini ha scelto di rispondere a due diverse lettere che trattano, da angolazioni diverse, il tema della tossicodipendenza e il modo in cui il problema è stato recentemente affrontato dai media, e in particolare dalla tv.
Caro Luigi, proviamo a ragionare sulle ultime accelerazioni in tema di dipendenze che negli ultimi due mesi hanno contraddistinto il dibattito mediatico. Prima con la trasmissione Porta a porta, e sotto Natale con «Domenica in» mi sembra che la Rai abbia impostato la questione in maniera unilaterale. Vedo non pochi pericoli in questa impostazione: dopo venticinque anni di lotta alla droga si afferma ancora un «pensiero unico» che lungi dall’arricchire il dibattito lo impoverisce ulteriormente.
Se il lato positivo della questione verte sul fatto che la televisione dopo tanti anni torna a dare centralità
a questa tematica dall’altro si svilisce questa importanza comunicando goffamente che il mondo degli
operatori si divide in quelli buoni e quelli cattivi e che all’interno della prima categoria ci sono livelli di eccellenza.
Come leggere altrimenti il gigantesco spot pubblicitario fatto a favore di San Patrignano? Chi lavora da
anni in questo settore ha avuto modo di conoscere pregi e difetti del sistema pubblico/privato, di moltiplicare i primi e limitare i secondi.
Ci sforziamo di dare concretezza e dignità alla parola integrazione, di interloquire nell’esclusivo interesse
dell’utente e di costruire percorsi terapeutici che solo in parte possono e devono essere residenziali.
L’esperienza ci ha, infatti, insegnato che le comunità terapeutiche ottengono buoni risultati con alcuni, mediocri con altri e pessimi con altri ancora.
L’idea che la comunità sia la soluzione per tutti a questo punto, non solo ci fa arretrare culturalmente di
almeno un decennio ma non corrisponde neppure lontanamente alle pratiche quotidiane di chi le comunità gestisce.
E che dire dei modelli specifici, degli approcci diversi delle singole strutture. Anche in questo caso l’esperienza ci insegna che non sempre il lavoro (ergoterapia la chiamano) e la formazione professionale
rappresenta la soluzione ideale. Potrei fare una lista infinita di casi in cui il lavoro non ha sortito effetto
alcuno mentre è stato più proficuo un approccio psicoterapeutico.
Insomma trovo avvilente che a fronte di un tentativo estremo di comprendere le diversità dei consumatori problematici si pensi realisticamente di dare una unica risposta terapeutica.
Ultima cosa: carcere e tossicodipendenza. Ritengo più proficuo avviare una riflessione sulla de-carcerizzazione (non depenalizzazione) di molti comportamenti penalmente rilevanti, di promuovere più articolate forme di risarcimento nei confronti della vittima, di dare vero sostegnoterapeutico ai detenuti. Di aumentare e promuovere persorsi alternativi al carcere presso servizi territoriali e residenziali.
Ma il carcere ipotizzato dal ministro Castelli che non si riesce a capire se è carcere, comunità o semplice
luogo ad alta densità tossicomanica mi appare del tutto inutile.
Auguri di buon anno.
Achille Saletti
Presidente
Comunità Terapeutiche
Saman

Apprendiamo che la Rai sta approntando l’ennesimo spot gratuito per San Patrignano. Domenica 23 dicembre, infatti, si svolgerà nella comunità di Andrea Muccioli l’intera puntata di “Domenica In”. Questo fatto, a nostro parere molto grave, soprattutto dopo la puntata di Porta a Porta dedicata esclusivamente a San Patrignano, denota una sudditanza del servizio pubblico che si presta a organizzare l’ennesima vetrina a un’organizzazione che rappresenta la punta avanzata del pensiero proibizionista nazionale.
Il fatto sconvolgente è che in questi anni nessun esponente di San Patrignano si è mai espresso pubblicamente sulle note vicende che hanno portato all’omicidio di Roberto Maranzano, avvenuto proprio all’interno della comunità. Nei confronti di quella morte non troviamo una dichiarazione di Andrea Muccioli sull’inefficacia di certi metodi e sul delirio che aveva prodotto quello stato di esasperazione che regnava all’interno della struttura.
Troviamo questo fatto molto grave, soprattutto perché oggi Muccioli, dopo il convegno di Raimbow, ha
intentato una nuova crociata nei confronti delle politiche della riduzione del danno, ergendosi a modello assoluto nella cosiddetta “lotta alla droga”.
Così gli utenti dei Sert vengono bollati come “zombie” e gli operatori degli stessi come incapaci, se non
peggio. Evidentemente il governo di destra ha donato nuovo vigore al San Patrignano pensiero; ma vedere il servizio pubblico piegarsi in maniera così servile a queste logiche miranti solo ed esclusivamente
all’esclusione del diverso, alla repressione vecchio stile, al continuo richiamo a modelli educativi “forti” ci fa comprendere la nuova struttura del regime che si va conformando.
Chiediamo a tutte le persone che non si riconoscono in questa situazione di sottoscrivere questo documento contro l’assurda politica oscurantista della Rai, per il rispetto del pluralismo e delle diversità. Molti anni fa quando il dibattito sulle tossicomanie era iniziato da poco, pubblicai un libro intitolato “Quei temerari sulle macchine volanti”. La tesi che sostenevo lì per la prima volta in modo chiaro e documentato riguardava la varietà delle situazioni psicopatologiche alla base di una dipendenza da farmaco. I tossicodipendenti sono diversi fra loro, dicevo, diverse debbono essere, e in effetti sono, le risposte da dare al loro disagio. In un capitolo dedicato a San Patrignano, le attività e i metodi utilizzati da Muccioli venivano descritte in dettaglio, la loro utilità nelle forme di tossicodipendenza del tipo D, quelle più direttamente collegate ad un disturbo psicopatico di personalità, veniva affermata con chiarezza. In un dibattito scientifico basato sul rispetto di tutte le esperienze condotte fino a quel momento, San Patrignano veniva presentato insieme al Progetto Uomo di Don Mario Picchi e alle iniziative del gruppo Abele di don Luigi Ciotti come il luogo fisico in cui si era affrontato in modo serio e convincente, dunque, il problema costituito dai tossicomani la cui domanda d’aiuto viene intercettato dal sistema giudiziario prima e più che da quello terapeutico cui essi, abitualmente, non si rivolgono.
Le vicende successive hanno largamente confermato le osservazioni fatte in quella sede. San Patrignano
è concretamente l’unica sede delle grandi Comunità Terapeutiche che non è entrata nella rete coordinata
dai Sert. Le sue convenzioni riguardano soltanto il Ministero di Grazia e Giustizia che ha scelto finora in
modo autonomo le strutture residenziali dove è possibile, ugualmente, fissare il domicilio delle persone
agli arresti. Una scelta che ha permesso ai responsabili di San Patrignano di gestire le loro Comunità in
modo indipendente dalle altre strutture pubbliche e del privato sociale che si occupano di tossicodipendenti. Evitando i controlli e il coordinamento in rete dei servizi. Portando avanti un discorso, comunque, su cui occorre riflettere oggi con grande attenzione. Evitando squalifiche pregiudiziali ed evitando al tempo stesso, tuttavia, santificazioni non motivate. Riflettendo sui metodi utilizzati a San Patrignano, prima di tutto, comunità che resta centrata, a differenza di gran parte delle altre su una filosofia di ordine strettamente rieducativo. Dove l’assistenza è quella sanitaria assicurata dai medici e
dove quello che non è arrivato, nella sostanza, è il punto di vista psicologico e psicoterapeutico. Dove il valere di fondo è quello di ordine morale. Dove si offre a chi ha sbagliato è una occasione per ricominciare e dove poco importa, alla fine, la ricostruzione delle ragioni per cui un certo individuo ha cominciato a sbagliare.
Dove ci si occupa con passione e tenacia a volte straordinarie, dunque, di quelli che, avendo toccato il
fondo, decidono e tentano di ricominciare daccapo.
Quello che si costruisce su queste premesse è, ovviamente, un gruppo in cui la generosità del dare si
lega inestricabilmente alla rigidità delle regole di vita. Parteciparvi è scelta libera all’inizio perché in comunità si chiede di entrare e perché il tempo di prova, quello delle prime settimane o mesi, è un tempo in cui chi non ce la fa, chi non si adegua è ancora libero di andarsene. La libertà di smettere viene come sospesa però successivamente in una fase in cui il vissuto del gruppo è un vissuto che distingue con forza il bene dal male (il bene dentro ed il male fuori) considerando peccato, follia, gesto inconsulto quello di chi continua a scegliere ancora una volta in modo sbagliato: nonostante tutto quello che ha ricevuto, riceve e può continuare a ricevere nel gruppo.
Una libertà più vera, si suggerisce, verrà sperimentata nel momento in cui si capirà davvero come stanno le cose. Nel momento, si sarebbe detto in altri tempi con Tolstoj, della resurrezione: un momento che arriverà comunque se si riesce ad aspettare per tutto il tempo che è necessario aspettare, sostenuti se necessario e, se necessario, forzati dagli altri.
Sta proprio su questo punto, di ordine metodologico, la differenza fondamentale fra San Patrignano e
il movimento delle Comunità Terapeutiche considerato nel suo complesso. Concretamente, questo ha
sempre affermato il principio per cui la Comunità, per essere davvero terapeutica, deve essere aperta anche a chi vuole uscire perché non se la sente, perché non ce la fa, perché quello non è ancora il suo momento. Culturalmente, perché il riferimento culturale delle comunità è di tipo psicologico e perché la crisi del programma che non funziona, dell’ utente che non si redime è vissuto e interpretato come la conseguenza di un errore o di un limite della struttura che non ha saputo dare abbastanza o dare nel modo giusto, non come una prova di “irrecuperabilità” del tossicodipendente che non ha saputo-voluto sfruttare l’occasione che gli era stata concessa. In termini
di obiettivo terapeutico da perseguire, infine, perché quello che si cerca di ottenere è un equilibrio psicologico centrato sulla persona, non sulla sua appartenenza al mondo di valori e di idee proprio di chi lo ha aiutato a cambiare. Con un problema che è insieme di ordine morale e legale perché l’obbligatorietà delle cure, nel nostro ordinamento, è direttamente collegata ad una norma che chiede, per essere rispettata, l’intervento di tecnici (psichiatri) che debbono certificare una incapacità assoluta della persona di badare a se stessa e perché di questa norma, a San Patrignano, si è sostenuto spesso di poter fare a meno. Come nel caso, probabilmente controverso, ma comunque significativo, di Marenzana.
La lunga premessa era necessaria, a mio avviso, per riflettere sui problemi proposti dalle lettere che
pubblichiamo oggi. Orgogliosamente arroccato nella difesa delle sue posizioni, San Patrignano si è posto
infatti, in questi anni, come un elemento di rottura forte nel dibattito sulle tossicodipendenze. La semplicità a volte quasi rozza del linguaggio utilizzato dai Muccioli, padre e figlio, la loro tendenza a dividere il mondo in buoni e cattivi, in amici e nemici, la loro capacità di dare comunque risultati importanti in un numero significativo di casi difficili, la visibilità assicurata loro da amicizie importanti come quella, in particolare, della famiglia Moratti, il loro sostanziale e polemico isolamento in un mondo dei servizi pubblici e del privato sociale largamente attestato su posizioni di tipo progressista hanno lentamente trasformato San Patrignano, infatti, in un simbolo di scelte politiche collocate a destra. Basate su una specie di tolleranza zero nei confronti del tossico che non decide di smettere subito e su una polemica durissima nei confronti delle droghe leggere, le loro posizioni pubbliche sono state cavalcate
da tutti i politici che hanno criticato per ragioni di “principio” le posizioni di chi insisteva sulle politiche di
riduzione del danno e sulla necessità di affrontare in modo concreto, non ideologico i problemi proposti dalla diffusione della droga. Con una apertura significativa alle ideologie opposte, di tipo pannelliano che hanno sempre trovato spazio ai convegni di san Patrignano quando servivano a mettere in cattiva luce ministri e gente della sinistra. Il matrimonio che è nato naturalmente da questo incontro non poteva non essere festeggiato (Domenica In e la RAI a San Patrignano) e non poteva non produrre dei frutti di tipo politico in una fase in cui la destra è arrivata al governo del paese.
Fare polemica su questo tipo di scelte è sicuramente giusto. Quello cui bisogna stare attenti, però, è l’errore di chi cade, polemizzando sempre e comunque, nella trappola di un discorso basato sull’idea per cui le scelte da fare in termini di assistenza ai tossicodipendenti vanno definite a livello politico. La mia opinione su questo tema è completamente diversa perché, a mio avviso, il buon politico è quello che fornisce (e rende a volte obbligatorio) il confronto delle esperienze, l’integrazione delle competenze e delle conoscenze, lo scambio delle opinioni e delle proposte: come ha tentato di fare in questi anni, per esempio, Livia Turco. Accettando che si parli San Patrignano, dunque, e chiedendo che si parli nello stesso modo, con la stessa enfasi, della possibilità di curare i tossicodipendenti con metodi diversi da quelli che si usano a San Patrignano.
Tentando di utilizzare l’esperienza fatta con i detenuti che scontano pene alternative a San Patrignano nella gestione delle carceri a custodia attenuata ma riflettendo seriamente sui risultati importanti che sono stati ottenuti (a Solliciano ed altrove) dagli operatori che lavorano in questo tipo di strutture e tentando di utilizzare, le esperienze compiute, ormai da venti anni, con lo stesso tipo di utenti in altre Comunità meno caratterizzate dal punto di vista politico.
Organizzando e valutando in modo sistematico e corretto dal punto di vista scientifico, insomma, i risultati di una sperimentazione che potrebbe offrire idee preziose per una riforma intelligente del sistema carcerario.
Di tutto c’è bisogno in tema di droga, lo nota giustamente Saletti, tranne che della tirannia di un pensiero unico. Sapendo bene tutti che il futuro di questo tipo di esperienze sta nella capacità e nella possibilità
di raccontare e di farsi raccontare da chi lavora sugli stessi problemi. Anche San Patrignano pagherebbe caro, voglio dire, un isolamento troppo tutelato dal punto di vista politico. Così come caro pagherebbero,
utenti e famiglie, il ripetersi di una situazione in cui le discussioni di principio tornassero a prevalere sul
confronto delle opinioni e sulla messa a punto di risposte sempre più adeguate a fronteggiare la sfida che
viene dal mondo delle droghe.

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