Cancrini: «Esplodeva la Tbc e loro non se ne accorgevano» -l’Unità 19.01.97

Cancrini: «Esplodeva la Tbc e loro non se ne accorgevano» -l’Unità 19.01.97

Gennaio 19, 1997 1991-2000, interviste 0

ENRICO FIERRO

«Almeno sedici persone sono morte di Tbc perché costrette a vivere in padiglioni senza riscaldamento e senza vetri. Nude, spesso. Spesso immerse negli escrementi». È la relazione del professor Luigi Cancrini sulle condizioni di vita dei ricoverati dell’ospedale psichiatrico di Agrigento. È uno dei punti cardine del processo. «Non si sono accorti che il male esplodeva come un’epidemia», dice il professore e racconta di ammalati lasciati marcire per anni.

ROMA. Psichiatrico di Agrigento, il «manicomio»: in quell’inferno solo «una morte pietosa» riusciva a
strappare i matti alla follia. Ora lo «scandalo» è arrivato, finalmente,davanti alla Giustizia italiana. Nel
processo a carico dei «presunti» responsabili il pubblico ministero ha già avanzato la richiesta di condanne. Ne parliamo con il professor Luigi Cancrini, psichiatra e consulente dell’accusa. «Almeno sedici persone_ scrive nella sua relazione _ sono morte di tubercolosi perché costrette a vivere in padiglioni senza riscaldamenti e senza vetri. Nude, spesso.Spesso immerse negli escrementi».
Professor Cancrini, i periti nominati dal Tribunale sostengono che non esiste alcun nesso tra il decesso dei ricoverati e il loro stato diabbandono.
Il punto di questo processo è proprio l’abbandono dell’«incapace», un dato che gli stessi imputati ammettono. Naturalmente loro lo attribuiscono a cause «esterne», inadempienze da parte della Usl e della provincia, ma al di là di questo, si tratta di un dato sul quale non esiste conflitto. Il nocciolo vero del processo è l’aggravante dellamorte dei pazienti.
Trentasei.
Sì, questi sono i numeri.
Ci spiega, allora, la divergenza tra le relazioni dei periti del Tribunale e quelle dei consulenti nominati dall’accusa?
Noi abbiamo lavorato sulle cartelle cliniche e la cosa che ci è apparsa subito chiara è che un certo numero di pazienti sono morti di Tbc, una vera e propia epidemia diagnosticata tardi e affrontata male, senza quelle precauzioni che si debbono prendere in qualsiasi comunità in cui si manifesti un solo caso di tubercolosi, come la schermografia dimassa.
Non fu fatta?
No, non furono fatti quegli esami semplici che servono a verificare se c’è un massicia presenza della malattia.Questa è la grande negligenza.
Né furono prese quelle precauzioni, a livello di igiene minima, per evitare il diffondersi della Tbc?
Assolutamente no. Le finestre dei cameroni erano aperte, spalancate anche d’inverno; gli escrementi restavano addosso alle persone, ai cosiddetti «malati sudici», ma su questoc’è stato un secondo punto di discussione.
Quale?
L’espressione «malato sudicio», spesso usata nelle cartelle cliniche, è stata presentata dagli psichiatri dell’ospedale come un sintomo della malattia mentale, mentre noi abbiamo proposto l’idea, basata sulla letteratura scientifica, che quello del «malato sudicio» è un comportamento legato alla condizione in cui
la persona si trova.
Quindi in un ospedale psichiatrico che non sia un lager, una persona di questo tipo può essere aiutata a
comportarsi diversamente?

Certo! Le faccio l’esempio di una ragazzina di quattordici anni che viene impropriamente portata in quell’ospedale psichiatrico in quanto frenastenica, soffre cioé di una forma di insufficienza mentale.
Non una malattia psichiatrica?
No, l’insufficiente mentale è una persona che va aiutata ad apprendere dei comportamenti. Prima di entrare in ospedale, quella ragazzina non era una «malata sudicia», lo diventa dopo anni di ricovero, e muore a ventuno anni, senza essere mai uscita dallo psichiatrico di Agrigento, per una forma grave di tubercolosi.
L’esito della «battaglia tra periti»servirà a stabilire l’entità delle pene per i responsabili.

Il punto chiave è la Tbc. Se in una comunità mancano le possibilità di difendersi dalle contaminazioni, e se
esiste un solo caso di tubercolosi, e invece lì erano molti, non procedere ad una indagine su tutti i presenti per vedere se si sono infettati o meno configura una negligenza, una colpa grave. Su questo punto, se chiamiamo cento medici, in centouno diranno che le cose stanno così.
Professore ci parli dell’ospedale psichiatrico di Agrigento, lager o luogo di cura?
Manicomio, vecchio manicomio, come era soprattutto nelle province povere italiane, caratterizzato da
una assoluta insufficienza di medici, dalla mancanza di servizi interni all’ospedale, per cui anche una radiografia diventava un problema. Una condizione di sostanziale abbandono, in cui il malato era irrecuperabileper definizione e doveva essere custodito fino al momento in cui «una morte pietosa» non lo avrebbe «strappato alla follia», come dice in una sua bella canzone Fabrizio De André.
Questi ospedali della provincia povera erano anche il luogo di raccolta di una certa marginalità sociale. Vi si rinchiudeva anche il diverso, il tipo un po‘ strano.
Non c’è dubbio. Ricordo una donna che è stata ospite ad Agrigento per trent’anni, e che era stata ricoverata semplicemente perché sua madre e sua sorella erano lì, è stata chiusa in quell’inferno dopo essere stata respinta dal marito. I casi di mogli non più volute, o ragazzi che nell’ambito della famiglia contadina non erano più produttivi e che venivano piazzati lì dentro, sono tanti. Perché l’ospedale era un punto d’arrivo per tutta una serie di devianze.
Questo processo servirà perché drammi del genere non si ripetano più.
Credo di sì, l’ospedale psichiatrico aveva la caratteristica di raccogliere un numero molto grande di persone per dispedere in un anonimato drammatico delle situazioni che si aggravavano reciprocamente. Bisogna puntare sulle comunità terapeutiche in cui una cultura psicologica ed un atteggiamento psicoterapeutico sono rivolti a pazienti gravi che in altri tempi sarebbero stati rinchiusi in un ospedale. Lì ci si accorge che esistono delle potenzialità, a volte straordinarie, anche nei pazienti apparentemente più regrediti

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