Le ferite della pandemia. Cancrini: “È tempo di chiedere aiuto, solo così guariremo” La Repubblica

Le ferite della pandemia. Cancrini: “È tempo di chiedere aiuto, solo così guariremo” La Repubblica

Febbraio 11, 2022 2021 ad oggi, interviste 0

di Maria Novella De Luca

Lo psichiatra spiega quali sono le emergenze  del post-Covid: “C’è un’epidemia di ansia e depressione, soffrono i bambini, i giovani, gli anziani. Bisogna ripristinare il bonus per le psicoterapie, in ballo c’è la salute mentale del Paese. Ma ritroveremo la serenità”

“Le ferite si cicatrizzeranno. La pandemia ci ha messi di fronte alla nostra fragilità, ha buttato giù quel senso immortalità in cui vivevamo, convinti di poter controllare tutto, a cominciare dalle malattie. Non torneremo uguali a prima, ammesso che quel “prima” fosse un’età felice e naturalmente non lo era. Siamo però di fronte a un grande malessere collettivo e le persone chiedono aiuto: i giovani, gli anziani, addirittura i bambini. Per questo aver abolito il bonus per le terapie psicologiche è stato un atto gravissimo”. Luigi Cancrini, 83 anni, psichiatra e psicoanalista, fondatore del “Centro di terapia familiare e relazionale”, una lunghissima esperienza nella cura del disagio psichico, racconta quanto la pandemia ci abbia segnati “dentro”. E anche come, piano piano, ritrovare noi stessi e la nostra serenità.

Chi ha sofferto di più?
“I bambini costretti negli spazi chiusi, senza aria, senza il parco e gli amici. Gli adolescenti e i giovani adulti senza scuola, il luogo fondamentale delle relazioni, intrappolati nella falsa socialità dei loro telefoni. E gli anziani nella solitudine delle loro case o delle Rsa, senza contatti, senza figli e nipoti cui stringere la mano e guardare negli occhi, nessuno a cui rivelare la propria paura”.


Come si esprime questo “grande malessere collettivo”?
“C’è una vera e propria epidemia di ansia e depressione nella popolazione. C’è una enorme richiesta di aiuto e ascolto psicologico. I ragazzi nei cortei alzano cartelli con la scritta “ho l’ansia”. Nelle famiglie costrette a contatti troppo continui, senza lo sfogo del “fuori”, sono esplosi conflitti di coppia e tra genitori e figli. Abbiamo avvertito tutti, più o meno consapevolmente, un senso di fragilità. Abbiamo capito che possiamo essere colpiti da qualcosa che non controlliamo. Questo destabilizza”.


Riusciremo a tornare al “prima”? Con una frase ad effetto: potremo ancora essere felici?
“Rispondo con un’altra domanda: eravamo felici prima? Nei momenti di buio il passato sembra sempre migliore di quanto non fosse in realtà. In tempi brevi, se davvero il virus ci lascerà liberi, torneremo ad assaporare cose semplici come respirare senza una mascherina, incontrarci, stringerci ed abbracciarci. Torneremo a viaggiare, a fare progetti un po’ più lontani. L’obiettivo però è la serenità. Spesso si parla di questo post pandemia come di un dopoguerra. Sono abbastanza vecchio dall’averlo vissuto il dopoguerra. Uno dei miei ricordi più felici è una giornata del 1945, quando i miei genitori ci portarono al mare ad Anzio. C’erano ancora le navi americani incagliate sulla riva. Con mia sorella ritrovare il mare fu la felicità assoluta”.


Come riconquistarla allora questa serenità professore?
“Chiedendo aiuto. Riconoscendo il proprio malessere. Facendo terapia. Serve l’ascolto, il lavoro sulla psiche, non una pioggia di antidepressivi e ansiolitici. Per questo è fondamentale ripristinare il bonus. Nel sistema pubblico ottenere una psicoterapia è difficilissimo, gli psicologi scolastici non esistono. Chi non può pagare un percorso privato come fa? C’è in gioco la salute mentale del Paese”.


Tra le categorie più colpite da forme di “burnout”, ci sono i medici, gli infermieri, che escono da due anni di trincea.
“Un carico emotivo immenso. Acuito dal fatto che i medici hanno dovuto affrontare l’emergenza sanitaria senza poter avere un contatto fisico con i pazienti. Ho avuto il Covid, sono stato ricoverato allo Spallanzani e da medico ho visto la sofferenza dei miei colleghi. Oltre alla “trincea”, ai turni folli, dover lavorare senza poter toccare il paziente, stringergli una mano al bordo del letto è difficilissimo. Ci vuole attenzione per il malessere dei medici. Che rischiamo di vivere una nuova emergenza”.

Da La Repubblica

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